
UGENTO – Si è svolto sabato scorso, a Palazzo Rovito, il convegno finale del progetto “Cantiere NVR”, promosso dalla Cooperativa Sociale Jonathan con il sostegno di Foncoop. Un’iniziativa accreditata presso l’Ordine degli Assistenti Sociali e delle Psicologhe e Psicologi della Regione Puglia, e realizzata in collaborazione con i Comuni di Ugento e Gagliano del Capo, scuole, associazioni e operatori del settore socioeducativo.
L’evento, dal titolo “La resistenza nonviolenta e la nuova autorità di Haim Omer”, ha rappresentato un’occasione di confronto ad ampio respiro – nazionale e internazionale – su una nuova visione educativa che mette al centro la nonviolenza come strumento di resistenza e autorevolezza.

UNA RISPOSTA EDUCATIVA ALLA CRESCENTE VIOLENZA GIOVANILE
Il progetto “Cantiere NVR”, articolato in 133 ore di formazione, nasce da un’urgenza: fronteggiare il crescente fenomeno della violenza giovanile, soprattutto quella che si manifesta tra le mura domestiche o nelle aule scolastiche, e che spesso ha come vittime genitori, docenti e adulti in genere. A fronte di un preoccupante incremento dei casi di bullismo e aggressioni, la Cooperativa Jonathan ha voluto sperimentare un modello che affonda le sue radici nella pedagogia della presenza e nella nuova autorità teorizzata dallo psicoterapeuta israeliano Haim Omer.
L’INTERVENTO DEL PROFESSOR HAIM OMER
Proprio Haim Omer è stato uno degli ospiti d’onore del convegno. Con un intervento denso e ricco di spunti di riflessione, ha spiegato i principi della sua metodologia, già adottata in molte realtà europee, basata sulla fermezza nonviolenta degli adulti e sulla creazione di alleanze educative capaci di interrompere escalation violente, senza cedere alla punizione o al ritiro. La sua proposta è stata accolta con grande attenzione da un pubblico composto da educatori, psicologi, assistenti sociali, operatori del terzo settore e genitori.

“L’ADULTO DEVE TORNARE PROTAGONISTA, MA CON AMOREVOLEZZA”
Tra i protagonisti del convegno, il pedagogista Giovanni Aventaggiato ha offerto un quadro lucido e appassionato sul senso profondo del progetto.
– Come nasce l’idea di questo convegno?
“L’idea di questo convegno nasce con l’intento di rinforzare un nuovo concetto, un nuovo metodo, un metodo non violento per affrontare le violenze giovanili, soprattutto quelle un po’ più strutturali, quelle un po’ più nascoste, presenti nella società o presenti nella famiglia. È un metodo che sostiene gli adulti, è destinato soprattutto agli adulti e serve ad aiutarli proprio in questa nuova funzione educativa in grado, senza violenza, di bloccare e rendere più attenuati questi episodi che colpiscono le famiglie, la scuola – il bullismo – e anche le comunità.”
– Concretamente, come si applica?
“La si applica innanzitutto formando i genitori, rinforzando il loro ruolo genitoriale. Si tratta di un metodo che deve ridare vigore e forza all’autorità genitoriale. Perché fondamentalmente, in questo momento di crisi, stiamo vedendo soprattutto una debolezza nei messaggi educativi degli adulti, e i giovani hanno bisogno di adulti fermi e convinti, ma soprattutto di adulti non violenti.”
– Qual è la situazione in Italia?
“L’Italia è un po’ chiusa rispetto a questo. Torino sta facendo dei percorsi in questa direzione. Io vengo da Zurigo, lavoro a Zurigo, il nord Europa è pieno di questo metodo. Io sono però salentino, quindi sto cercando in tutte le maniere di introdurlo anche sul nostro territorio. È un metodo tenue, molto amorevole, ma che è basato sulla presenza forte e significativa dell’adulto, che in questo momento, diciamo, è la parte debole della storia.”

“RIPARTIAMO DAL BASSO, DALLA SCUOLA, DALLA PARTECIPAZIONE”
Altro momento significativo della giornata è stato l’intervento di Giuseppe Moscati, presidente della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini, intellettuale e testimone della pedagogia della nonviolenza ispirata al pensiero del filosofo umbro. Lo abbiamo intervistato anche lui.
– Come viene applicato oggi il messaggio di Capitini?
“Sono stati fatti dei passaggi molto importanti, innanzitutto portando Capitini nelle scuole perché i ragazzi hanno bisogno di leggerlo, di assaggiarne gli esperimenti anche di democrazia dal basso. Capitini aveva ideato i COS, i Centri di Orientamento Sociali, che in fondo erano delle riunioni assembleari dove si potevano incontrare il popolo e gli amministratori del bene comune.
I ragazzi di oggi, che sono orfani in qualche modo della partecipazione che c’era prima quando c’erano le forti ideologie, io credo che abbiano bisogno proprio di queste attuazioni pratiche di idee di non violenza, di omnicrazia – ovvero di potere di tutti dal basso – di gestione non violenta dei conflitti, di condivisione del bene pubblico a partire da una educazione alla pace.
Ecco, questa è sicuramente una strada importante: ripartire dal basso, dalle scuole, ed evitare di fare della pace una questione della domenica.”
– È una pace che deve partire dal basso ma anche guardare al mondo. I giovani ne sono consapevoli?
“Ci sono degli studi sociologici e demoscopici che indicano che i giovani oggi hanno degli orientamenti, un forte radicamento. Magari lo si vede di meno perché li si pensa sempre persi dinanzi ai cellulari, alla tecnologia. Invece hanno un senso della giustizia sociale, ce l’hanno, ce l’hanno loro come ce l’hanno avuto tutte le generazioni dei giovani.
Pensiamo al ‘68: quanto era forte, passionale, legato a un’idea di libertà condivisa. Tutto ruota attorno all’idea di potere. Perché se il potere lo intendiamo in chiave autoritaria forte, quindi totalitaria, allora scadiamo nel dominio. E il dominio è violenza.
I giovani hanno questa grande opportunità di trovarsi strade creative, di poter fare gruppo. È ancora possibile. Non è vero che sono sempre dietro a questi strumenti, che non sono strumenti del demonio. Fanno parte della loro generazione, della loro vita. E quindi io sono fiducioso.”
– Forse sono proprio gli adulti ad aver perso questa visione?
“È proprio questo. Lo hanno perso nel momento in cui sono rimasti schiavi dell’abitudine. Il pensiero, la pratica pedagogica, la stessa socialità, io credo debbano necessariamente passare attraverso un recupero di quello che dici tu: la predisposizione a non rimanere fermi, a non rimanere seduti, a non accontentarsi.
A dire dei no, che magari costituiscono sacrifici, abnegazione, rinunce. Gandhi in questo è stato un grande maestro, eppure ha liberato assieme a pochi altri un continente dal dominio britannico.
Io credo che se gli adulti recuperassero, grazie ai giovani, questa voglia di riaprire le questioni che contano – che sono della politica, dell’educazione, della socialità – la nostra società sarà migliore.”

UN MODELLO DA RADICARE NEL TERRITORIO
Il convegno si è concluso con gli interventi delle esperte Penny Willis e Donna Barry (dal Regno Unito), di Daniela Primiceri (assistente sociale della Cooperativa Jonathan) e di Andrea Baldassarre (sociologo ATS Gagliano). Moderatori: la psicologa Adriana De Giorgi e il pedagogista Giovanni Aventaggiato.
“Cantiere NVR” è stato più di un progetto formativo: è stato un seme piantato in un territorio che ha voglia di cambiare. Una proposta concreta per ripensare il ruolo educativo degli adulti, contrastare la violenza giovanile e costruire, insieme, una società più giusta, pacifica e consapevole.